sabato 8 luglio 2023

Il mio nome è Maria

Il mio nome è Maria



Copyright © Flavia Di Cosimo
maggio 2021

Dedicato a tutti i genitori che hanno dovuto lottare,
come meglio potevano rispetto alle loro capacità,
per poter dare un'opportunità migliore ai propri figli


Prefazione

Non tutti abbiamo la fortuna di nascere in un ambiente sano, ma ritengo comunque fondamentale non giudicare mai nessuno, soprattutto quando è evidente un impegno che punta a "dare" e non a "togliere". Probabilmente questo può essere giudicato in maniera opposta a seconda dei punti di vita e non si possono escludere pro e contro valutando determinati comportamenti. L'unica cosa che chiedo leggendo queste poche righe è di pensare che a volte, alcune persone, non hanno modo e capacità di fare diversamente e nonostante questo, cercano di fare del loro meglio.
Mi sono immedesimata nella protagonista, la piccola Maria, cercando di scrivere questo breve racconto con termini semplici e con la visione del mondo attraverso i suoi occhi. Per cui alcuni errori di scrittura e alcuni salti temporali sono voluti per rientrare nell'idea di confusione che la bambina ha, vivendo in un contesto non adeguato alla sua età.


CAPITOLO I
Il lavoro di mia mamma

Mia mamma dorme sempre molto la mattina perchè di notte deve lavorare. Io vado con lei e tutte le sue amiche, quelle che lavorano con lei, sono simpatiche e gentili. Le cose che mi piacciono di più sono gli abiti che indossano, il trucco che hanno e le buffe ciglia finte lunghissime! A turno mi fanno compagnia nel retro dello spogliatoio perchè a me è vietato entrare nella grande sala dove la mamma e le sue amiche lavoravano. In realtà lo chiamano "camerino", ma a me sembra un "camerone"! Ci sono tantissimi vestiti eleganti e molti indumenti intimi davvero microscopici! Per fortuna, appena li indossano, si coprono con una vestaglia: la cosa che non capisco è un'altra... Non pensavo che ci fossero dei posti dove si può lavorare in vestaglia!!! Capisco un camice, un'uniforme bianca o verde, ma in vestaglia è proprio strano! Loro mi dicono che è un modo per rendere il locale diverso dagli altri. Però mi chiedo perchè alcune di loro escono in vestaglia, alcune con dei bellissimi abiti e altre invece sono vestite da cameriere. Un'altra curiosità è che tutte hanno due nomi! Anche mia mamma, che in realtà si chiama Francesca, si fa chiamare Noemi! A me piace molto il nome Noemi e non mi è permesso dire a nessuno che invece si chiama Francesca: solo le sue amiche lo sanno.
Le ore di lavoro sono molte e torniamo a casa quasi all'alba: per questo motivo la mamma non può portarmi a scuola.

CAPITOLO II
Voglio andare a scuola

A me spesso piace sognare ad occhi aperti: immagino i miei compagni di scuola, la mia maestra dolce e minuta e una grande lavagna. Chiedevo spesso alla mamma di poter andare a scuola, ma ogni volta mi diceva che avrei cominciato ad andarci l'anno successivo. Sono passati già due anni e purtroppo la situazione non è cambiata! All'inizio mi arrabbiavo, piangevo, poi, vedevo la mamma dispiaciuta e triste, ho smesso di chiederlo.
Però, quando ero a casa da sola, mi divertivo a giocare "alla scuola". A volte fingevo di essere la maestra, a volte un'alunna, a volte fingevo di essere la mamma che mi accompagnava a scuola! Immaginavo di avere uno zaino rosa con le principesse, dei quaderni colorati e una merenda succulenta!
So scrivere e leggere perchè le amiche della mamma mi hanno insegnato a farlo mentre aspettavo che la mamma finisse di lavorare. Ho cominciato anche ad imparare la matematica e riesco a fare bene le somme e le sottrazioni, anche se spesso utilizzo le dita per non sbagliare! Quindi, durante i miei giochi "alla scuola", fingo anche di mettermi dei voti, compreso il cento e lode! Bè, me lo meritavo perchè sono attenta e precisa!

CAPITOLO III
Il mercoledì con la mamma

L'unico giorno che la mamma è libera, è il mercoledì. Lo aspetto con ansia perchè in quel giorno, anche se ci svegliamo molto tardi, la mamma mi porta a fare colazione fuori: in quell'occasione prendo un grande cornetto con la marmellata e un succo di frutta alla pesca! Poi andiamo al parco giochi, facciamo una passeggiata chiacchierando e ridendo, mangiamo un gelato insieme e la sera torniamo a casa.
Ogni mercoledì sera ci vestiamo eleganti e usciamo con un amico della mamma. Non sono molto entusiasta perchè è troppo serio e vecchio, ma la mamma ci tiene molto che io sia gentile ed educata con lui. La cosa positiva è che ogni mercoledì questo signore mi porta un regalo. Puntualmente, mi viene consegnato a fine serata, quando torniamo a casa. Così non faccio capricci il mercoledì, mi comporto bene e aspetto con ansia di tornare a casa dopo cena!
Oggi è giovedì e il sole è già alto: tra le persiane ancora chiuse riescono a passare dei timidi spicchi di sole che illuminano la stanza. Apro a fatica gli occhi per non essere colpita dalla luce e noto con dispiacere che il mio orso di peluche è caduto sul pavimento. Sento la confortante presenza della mamma, distesa nuda accanto a me: sta ancora dormendo. Le sue lunghe braccia si attorcigliano avidamente a me, intrappolandomi. Allo stesso tempo però ho la sensazione di avere addosso uno scudo che mi protegge, fatto di dolcezza in carne ed ossa.
Nella trascorsa serata, mercoledì appunto, quando siamo rientrate a casa, la mamma ha lasciato cadere disordinatamente a terra l’elegante vestito nero e ha fatto velocemente una doccia per poi stringersi a me, nel mio letto. Non so per quale motivo, ma odia dormire nella sua camera e preferisce infilarsi nel mio letto, anche se stretto e non elegante come il suo.
L’odore acre del fumo è ancora impregnato sugli abiti lasciti a terra, in netto contrasto con il profumo dolce di vaniglia che avvolgeva la pelle bianca e morbida della mamma: un miscuglio di odori che ormai mi trasmettono una sensazione rassicurante e familiare.
Ho chiuso gli occhi e ho ripensato a ieri sera. Io e la mamma siamo uscite con il suo amico e siamo andati a mangiare in un ristorante molto elegante. Peccato che nel menù c'erano soltanto piatti a base di pesce e io odio il pesce!
Lui era molto gentile con me e la mamma: prendeva i nostri cappotti, spostava la sedia alla mamma per farla sedere e poi lo faceva anche con me! Se mi cadeva qualcosa a terra, quasi sempre il tovagliolo o il coltello, con prontezza si alzava, lo raccoglieva e ne chiedeva un altro pulito al cameriere. Un uomo alto, magro, con i capelli brizzolati, sempre ben pettinati; indossava spesso un buffo cappello bianco che stonava un po’ con i colori scuri dei suoi abiti eleganti.
CAPITOLO IV
Il mercoledì ci facciamo belle per la cena

In quell’occasione, la mamma mi aveva fatto indossare un vestito di velluto rosa e scarpe di vernice nere. Mi aveva messo dei fiocchetti tra i capelli ricci e scuri; con una mano mi aveva coperto delicatamente gli occhi neri e con l’altra mi aveva spruzzato una nuvola di profumo che a me piace moltissimo perchè sembra quello delle caramelle.
Lei invece si era fatta una strana pettinatura: prima aveva raccolto i suoi lunghi capelli biondi e li aveva uniti con un elastico formando una coda, poi li aveva girati più volte fino a formare una specie di nodo intrecciato e li aveva fissati con alcune forcine. Aveva messo un abito che a me piace moltissimo: era molto lungo e scuro. Avvolgeva i sui fianchi ed era più ampio alle caviglie; avevo chiesto alla mamma come si chiamava quel tessuto liscio e lucente e mi aveva detto che era un abito di seta. La mia mamma è bellissima, ma con questo abito era davvero sensuale perchè aveva una generosa scollatura sulla schiena. Aveva indossato dei gioielli ed era molto elegante. Aveva preso una piccola borsa che lei chiama "poscett". Infine aveva messo dei decolté neri altissimi, con un tacco molto sottile: chissà come riesce a camminarci con tanta disinvoltura! Io a volte, quando lei non c'è, ho provato a mettere le sue scarpe altissime, ma sono sempre caduta! Per fortuna non si sono mai rovinate: la mamma è gelosa dei suoi abiti e delle sue scarpe. Comunque ora era davvero molto alta e elegantissima.
Quelle cene per me erano noiose. Io dovevo rimanere sempre composta e la mamma preferiva che io stessi zitta per non interrompere i noiosi discorsi che faceva con il suo amico. Quando dovevo andare in bagno, doveva dare un colpetto alla mamma, sotto il tavolo, senza che nessuno se ne accorgesse. La mamma capiva quel “segnale in codice” e, non appena la conversazione tra i due adulti si interrompeva un attimo, sfiorava la mano del suo amico e con eleganza gli diceva:
- “Perdonaci caro, andiamo ad incipriare il naso!”
Così accadde anche quella sera. Lui si alzò dalla sedia e spostò le nostre per aiutarci ad alzarci. La mamma gli sorrideva e con il suo solito passo calmo e ondeggiante, mi accompagnò alla tualet, tenendomi dolcemente la mano.
La donna chiuse la porta dietro di noi, si fermò per un istante e fece un lungo respiro.
Restò in silenzio per qualche attimo, confusa, scrutandomi con occhi interrogativi e angosciati. Poi, prese il mio piccolo viso tra le mani e mi baciò sulla fronte. Subito dopo mi aiutò, preoccupandosi che io mi fossi lavata bene le mani prima di tornare al tavolo.
Al nostro ritorno, l’uomo ci stava già aspettando con i cappotti in mano, mentre fumava una sigaretta.

CAPITOLO V
Il ritorno a casa

Finalmente siamo tornati a casa con la sua lussuosa auto blu, che parcheggiò, come sempre, in fondo al vialetto, dietro il grande abete. Finalmente, arrivò il momento più atteso per me! L’uomo, fingendosi distratto, mi disse:
- “Maria, stavo dimenticando! Ho una cosa per te!”
Aprì il cofano dell’auto e tirò fuori un regalo per me. Quella sera, portò un grande orso di peluche con un enorme fiocco color oro al collo. Ho spalancato gli occhi e anche la bocca! Ero felice e sorpresa. L'ho subito ringraziato con gentilezza e mi sono affrettata perchè volevo abbracciare con affetto il mio orso.
L'amico di mamma ci accompagnò fino alla porta di casa e lei lo invitò ad entrare, per bere un amaro. Ovviamente lui accettò.
Una volta entrati in casa, la mamma mi prese in braccio e fece un cenno all’uomo, che, pazientemente, rimase ad aspettare nell’elegante salotto in stile barocco.
Mamma mi fece sdraiare nel mio lettino e mi mise accanto il grande orso. Poi mi coprì con una morbida coperta. Mi ha fatto compagnia per un po', accarezzandomi i capelli e sfilando uno ad uno i fiocchetti che vi erano impigliati. Pian piano i miei occhi si chiusero: avevo troppo sonno, ma l'ho sentita comunque allontanarsi dalla mia stanza per andare a chiacchierare con il suo amico! Li sentivo vociferare e ridere: la mamma aveva lasciato cadere sul pavimento, una alla volta, le scomode scarpe con il tacco alto. Poi mi sono addormentata perchè non ricordo più niente di mercoledì sera.
La mattina dopo, quando mi sono svegliata, ho chiuso gli occhi e ho ripensato a tutti i momenti più belli della serata: il vestito di velluto rosa, il bacio sulla fronte, le dita che scorrevano nei suoi capelli ribelli, il grande orso con il fiocco dorato…
All’improvviso, un raggio di sole si è spostato sul mio viso e ho smesso di pensare a quella serata perchè mi sono resa conto di avere una gran fame!
Ho riaperto con fatica gli occhi e sono scesa furtivamente dal letto, facendo attenzione a non svegliare la mamma.
Ho raccolse il mio grande orso dal pavimento e sono andata in cucina per bere un bicchiere di latte freddo e mangiare i miei biscotti preferiti.
Sono passata velocemente davanti alla camera da letto della mamma, valorizzata in ogni dettaglio da rifiniture color oro. L’elegante copriletto rosso e liscio come l'abito della mamma era disfatto ed aveva ancora ben incisa l’impronta lasciata da due corpi. Mi sono fermata un attimo a guardare: ero confusa.
Poi ho guardato il mio grande orso, l'ho stretto forte a me e sono andata a mangiare in cucina.

CAPITOLO VI
Una giornata diversa

Stranamente, dopo pochi giorni, eravamo rientrate molto presto dal lavoro... La mamma aveva baciato e abbracciato tutte le sue amiche e insieme piangevano. Non avevo capito cosa stava succedendo, ma nonostante stessero tutte piangendo, erano felici e dicevano spesso alla mamma:
- "Sorridi e sii forte: ce l'hai fatta!"
"A fare cosa?" mi chiedevo...ma avevo preferito stare zitta e non chiedere nulla.
La mattina seguente, la mamma si svegliò prima del previsto. I suoi grandi occhi non riuscivano a nascondere la paura, ma allo stesso tempo era felice e raggiante.
Non appena mi sono svegliata, mi ha preso per mano e mi ha portato in cucina: sul tavolo c'era una tazza di latte caldo e i miei biscotti preferiti. Poi, frettolosamente, mi ha detto:
- "Maria, oggi faremo una cosa speciale! Andremo a vivere in un paese lontano da qui perchè la tua mamma ha trovato un nuovo lavoro! Mi occuperò di due persone anziane che vivono in una grande casa: dovrò pulirla, cucinare per tutta la famiglia e in cambio ci offriranno un piccolo alloggio! C'è un grande giardino dove potrai giocare e potrai occuparti del loro piccolo cane se vorrai! Inoltre potrai andare regolarmente a scuola e la mamma non lavorerà mai più la sera! E mi chiameranno tutti Francesca!"
Io ero rimasta senza parole, avevo la bocca spalancata e gli occhi sgranati. Incredula, felice e confusa allo stesso tempo, ho cominciato ad agitarmi per la gioia e, senza neanche mangiare, ho chiesto alla mamma se potevo cominciare a prendere le mie cose!
La mamma, con decisione e un pizzico di malinconia aggiunse:
- "Amore mio, c'è un piccolo compromesso da accettare. Nella nostra nuova casa ci sono già dei mobili e non sappiamo quanto spazio avremmo a disposizione. Quindi, se sei d'accordo con me e vogliamo partire subito, saremo costrette a lasciare qui alcune cose: gli abiti eleganti non mi serviranno più, le scarpe alte le sostituirò con scarpe più comode e tu dovrai lasciare qui il tuo grande orso."
Ero confusa e dispiaciuta e sentivo che i miei occhi si stavano riempendo di lacrime... La mamma continuò:
- "Non devi dispiacerti per questo! Appena ci saremo ambientate, ti prometto che farò un po' di spazio in casa e ne comprerò un altro uguale! Anzi, sarai tu a sceglierlo! Che ne pensi?"
Sono rimasta qualche secondo a riflettere mentre fissavo gli occhi spaventati della mamma. Senza pensarci due volte, l'ho abbracciata forte e le ho detto:
- "Mamma, non avrò bisogno di giocattoli! Hai già dimenticato che avrò un cucciolo di cane a cui badare? E poi ci sarà la scuola, i compiti da fare... Avrò i miei compagni di scuola con cui giocare! Non avrò più tempo per giocare con un pupazzo, perchè avrò un cane vero da coccolare e amare!"
Ho fatto un sorriso enorme, il più grande che potevo! Ho continuato a fissare gli occhi della mamma per rassicurarla: non volevo vedere più quella paura che le faceva tremare le mani. E ce l'ho fatta! Dopo pochi secondi la paura era svanita e ora vedevo gioia e lacrime di felicità.
In pochi minuti abbiamo preso gli oggetti più essenziali, abbiamo preparato insieme dei panini e delle bibite per il lungo viaggio. La mamma prese da uno scaffale dell'armadio un vecchio astuccio. Lo aprì, contò velocemente i soldi che vi erano all'interno, si girò verso di me e disse:
- "Partiamo! Ora!"

CAPITOLO VII
Un sogno incerto

Mi ha preso le mani e ha cominciato a saltellare come una ragazzina per tutta la stanza: si respirava tanta felicità. In quel momento, però, squillò il telefono della mamma. Lei lo prese, lesse il nominativo, rimase bloccata e attonita. In un attimo il suo volto si era trasformato: era di nuovo triste e le mani avevano ripreso a tremare.
Ho cominciato ad avere paura, tanta. Pensavo che era solo un sogno e che ormai mi stavo svegliando! Ero preoccupata per la mamma, volevo fare qualcosa per aiutarla ma non capivo perchè all'improvviso tutto sembrava svanito...
La mamma guardò il telefono, poi me. Guardò di nuovo il telefono che non smetteva di squillare. A quel punto la sua tristezza era sparita e aveva un volto molto deciso, quasi rabbioso. Mi ha preso la mano e, stringendole con dolcezza e decisione, andò verso il grande orso e disse:
- "Bè, anche questo non servirà più nella nostra nuova casa! Non avrò più tempo per parlare al telefono! Dovrò fare le pulizie, cucinare, portarti a scuola! Lo lascio qui, vicino al pupazzo!"
Mi ha guardata dritto negli occhi: non l'avevo mai vista così sicura di se e io ero un po' confusa, incredula, ma di nuovo felice! Ci siamo guardate con tanto amore e soprattutto con la voglia di realizzare quel sogno e, insieme, abbiamo detto:
- "ANDIAMO!"
Abbiamo caricato tutte le nostre cose nell'auto, correndo più che potevamo per fare in fretta! Stavamo per chiudere la porta per l'ultima volta e il telefono, accanto al grande orso, ricominciò a squillare. C'è stato un attimo di silenzio, ci siamo guardate e siamo scoppiate a ridere! Abbiamo chiuso la porta mentre il telefono continuava a squillare e non ci siamo mai più voltate indietro. Questa volta abbiamo davvero cominciato a realizzare il nostro sogno!

domenica 3 settembre 2017

La mela Lucilla



* foto di it.dreamstime.com

Copyright © Flavia Di Cosimo & "Io con Te"

aprile 2016 - settembre 2016
Premessa

Il gruppo "Io con te", coordinato dalla psicologa Maria Valente, ha preso vita nel 2007 dopo un attento ascolto delle esigenze, della profonda solitudine e dei dolori che ruotano intorno ai soggetti disabili e alle loro famiglie. I volontari, spinti da una personale scelta sulla base di vita cristiana, negli ultimi due anni si sono occupati di trattare argomenti delicati ai "vizi e virtù" in maniera adeguata, per trasmettere valori sani e informazioni corrette alle nuove generazioni, ai bambini e ai ragazzi diversamente abili. In questo gruppo, ognuno porta il suo contributo senza nulla pretendere in cambio per cercare, insieme, di raggiungere un obiettivo basato sull'amore, attraverso la cooperazione comune.

In particolare, nel trattare l'argomento della "Lussuria", ho avuto l'onore di ideare e scrivere le prime bozze di questo racconto, arricchito e completato successivamente con la collaborazione dei volontari del gruppo e della dottoressa Valente. Infine, "Io con Te" ha usato il racconto per spiegare questo concetto ai giovani e ai bambini/ragazzi disabili, attraverso un lavoro ripetuto, attento, organizzato con saggezza ed esperienza senza lasciare nulla al caso così che ogni cosa relativa al racconto possa trovare un forte significato religioso che invita alla riflessione.

Con ammirazione e profonda stima nei confronti del gruppo "Io con Te" e della dottoressa Maria Valente, concludo citando le parole di Papa Francesco: “Nella comunità cristiana abbiamo bisogno l’uno dell’altro e ogni dono ricevuto si attua pienamente quando viene condiviso con i fratelli, per il bene di tutti.”

La mela Lucilla

In un grande frutteto, su un albero rigoglioso, la vanitosa mela Lucilla tutti giorni lucidava la sua buccia con la sua fogliolina verde. 
Tutte le persone che lavoravano nel frutteto si fermavano ad ammirare la sua buccia, perché era lucida come uno specchio e facevano molta attenzione a non urtarla per non danneggiarla. 
Siccome era ancora acerba, nessuno la sceglieva quando passava per raccogliere le mele destinate alla mensa dei bambini della scuola del paese (perché a loro non piacciono le mele acerbe). 
La mela Lucilla arrivò, così, a pensare di non essere abbastanza bella e confuse il rispetto per disprezzo e cominciò a rattristarsi e a non guardare più il sole e il cielo. Trascorreva tutto il suo tempo a lucidarsi, a controllare se aveva qualche brufolo, a controllare la sua grandezza, insomma, non aveva più tempo per nessuno e nella sua testa giravano sempre gli stessi pensieri. 
Nella vicina piantagione di kiwi, l’esuberante Kiwi John, veniva sempre messo da parte dai suoi amici perché considerato brutto e piccolino. Per prenderlo in giro lo chiamavano “sbarbatello” e lui non riusciva a frenare i loro atteggiamenti. Così un bel giorno, per non sentirsi troppo solo, gli venne un’idea per farsi notare dagli amici. 
Con astuzia si avvicinò alla mela Lucilla e cominciò ad adularla facendole mille complimenti. Se avesse conquistato Lucilla tutti lo avrebbero rispettato di più: questo era il pensiero che occupava la sua testa tutti i giorni. 
Così ripeteva ogni giorno a Lucilla:
- “Sono assolutamente certo che, sotto quella buccia acerba, si nasconde una gustosissima polpa e, se ti sbuccerai, di certo qualcuno ti noterà e ti sceglierà in un batter d’occhio!”- 
Lei, timida e insicura, ci pensò un po’e si consigliò con le sue amiche mele. Poiché anch’esse erano acerbe, non sapendo cosa dire e così pensarono d’incoraggiarla perché questa soluzione poteva andar bene anche per loro. 
Lucilla iniziò a sbucciarsi e, pian piano, qualcuno cominciò a guardarla con maggiore attenzione, perché non era comune che una mela giovane, ancora attaccata all’albero, fosse senza la buccia. Presto alcune delle amiche di Lucilla divertite dalla novità, decisero di sbucciarsi per mostrare la loro appetibile e gustosa polpa. 
Lucilla si tolse completamente lo strato di buccia e cominciò a lucidarsi con la sua fogliolina verde, ma invece di brillare come al solito, cominciò a ingiallire. Così pensò che forse era meglio rimettersi la buccia e provò a riattaccarla sulla polpa, ma era impossibile ricomporla perché cadeva giù. Non sapeva bene cosa fare! Non si poteva tornare indietro e, per non sembrare ancora più stupida di prima, pensò di far finta di nulla e ogni giorno decise di togliere uno strato sottilissimo di polpa sperando che nessuno si accorgesse di nulla. 
Così, ogni giorno, aveva l’impressione di essere gustosa come prima. Ma, in men che non si dica, gran parte tutta la sua polpa era a terra e lei fu presa da un grande sconforto: per piacere agli altri si stava distruggendo. 
Lucilla pensò subito alle sue amiche e tentò di metterle in guardia, ma solo alcune diedero valore alla sua esperienza e decisero di non sbucciarsi più o di non iniziare. 
Presa dal forte dolore Lucilla iniziò a piangere e i suoi singhiozzi arrivarono alle orecchie di Maria Grazia, una lumachina molto attenta e discreta.
Maria Grazia si avvicinò a Lucilla e capì subito che non era il caso di parlare. Rifletté su ciò che poteva fare per alleggerire il suo dolore, ma le fu subito chiaro che sul dolore non si può ragionare e le venne naturale abbracciarla forte. Le lacrime di Lucilla inondarono Maria Grazia e lei cominciò a pensare, nel silenzio di quell’abbraccio, alla propria storia, a tutte le difficoltà incontrate sulla sua strada e a come il suo unguento avesse alleggerito tanti dolori, perché strisciando ci si ferisce facilmente. Ciò che aveva protetto e guarito molte delle sue ferite poteva avere lo stesso effetto su Lucilla. 
Quando Lucilla, sostenuta da quell’abbraccio, si rilassò e si addormentò, Maria Grazia cominciò a camminare sulla mela con dolcezza e impegno, per avvolgere tutta la sua polpa con quell’unguento argentato che rigenera senza opprimere: pian piano le profondissime ferite divennero meno dolorose e la polpa rimase di un delicato giallo argento. 
Nel frattempo Kiwi John, con i suoi amici barbuti, notando le lacrime e i singhiozzi di Lucilla non solo non provavano alcuna compassione, ma la deridevano a sua insaputa. John si sentiva fiero per la sua bravata perché ora era considerato quasi un eroe dai suoi amici: aveva convinto la povera mela Lucilla a sbucciarsi, facendole credere che così qualcuno l’avrebbe scelta con più facilità ma, di fatto, l’aveva ridotta quasi all’osso. 
Non curante dei sentimenti di Lucilla, che ormai si sentiva inutile e sola, John cercò di convincerne qualche altra a sbucciarsi e tutte le sue attenzioni si concentrarono su un’altra mela. 
Si sentiva fiero per aver dimostrato ai suoi amici la sua grande dote di adulatore. 
E così, alcune mele acerbe dell’albero giovane del frutteto, che a differenza di Lucilla non avevano voluto fermarsi a riflettere sulla loro condizione, si ritrovarono ad essere torsoli dimenticati. 
Ma non tutte le mele, anche se al momento non si sentivano corteggiate e scelte, caddero nella trappola tesa da John. Un giorno Marta, una mela matura, di un bel rosso lucente, ma non perfetta nella forma, che da mesi era sull’albero, fu infastidita dall’atteggiamento di John e non poté fare a meno di rispondere con fermezza ai suoi falsi complimenti: “Caro John, non penso di avere bisogno dei tuoi consigli, perché crescere vuol dire avere una testa per pensare e io non ho bisogno della tua. Ogni giorno cerco di capire bene cosa voglio essere e come devo comportarmi. Tu dovresti passare più tempo a mettere a posto la tua testa: non vedi come ti sei ridotto?”. Marta non volle aggiungere altro perché non voleva neanche perdere tempo con John. 
John, freddato da quelle dure parole, per la prima volta si fermò a guardarsi e notò che la sua buccia era raggrinzita e il suo aspetto era tutt’altro che piacevole. Solo in quel momento si ricordò delle parole del nonno che sempre gli aveva raccontato mille storie sul fatto che i kiwi in mezzo a tante mele maturano troppo in fretta e rischiano di marcire. Il nonno gli aveva sempre detto che era bene scegliere vicino a chi stare per maturare nel giusto modo e tempo. 
Intanto Maria Grazia non aveva mai lasciata sola Lucilla e, anche se la polpa della mela era stata rivestita da una delicata ma resistente protezione, Lucilla continuava a pensare che la sua vita era finita perché aveva sbagliato tutto. Maria Grazia aveva deciso di non parlare troppo di ciò che aveva fatto perché Lucilla doveva scoprirsi nuova, non a partire dal suo corpo, ma dall’interno all’esterno del sè. Per questo era necessario affrontare fino in fondo il problema e subito Maria Grazia pensò che ora doveva intervenire Marta, perché è sempre meglio che sia una mela a parlare ad una mela. Andò, così, a cercare Marta e lei, che aveva seguito tutto con attenzione, si attivò subito. 
Marta si avvicinò a Lucilla con dolcezza e l’abbracciò. Lucilla si lasciò abbracciare e quando smise di singhiozzare, Marta le spiegò che la vita della mela non è solo nella polpa ma è nel profondo, nei semi e che, se avesse saputo proteggerli, avrebbe dato vita non ad una sola mela, ma ad un albero di mele. 
Lucilla, si fidò delle parole di Marta e decise di ricominciare. Si fermò a riflettere e il suo sguardo cadde casualmente su una parte di sé che da tempo pensava essere molto inadeguata. Si guardò e si vide come mai si era percepita: il suo sguardo era nuovo e la sua storia non era solo un cumulo di macerie da buttare, ma un mondo da valorizzare. Il suo sguardo andò progressivamente sulle vecchie ferite ma ora tutto brillava al sole come un abito da sera laminato d’argento. Le ferite non erano sparite ma l’unguento era penetrato dentro e con i suoi effetti di luce, creava una fantasia di rara bellezza. 
Pensò, subito, alla lumachina che nel silenzio aveva lavorato per darle una nuova veste. Pensò e ripensò, poi, alle parole di Marta. Non era tutto perduto: la vita era ancora dentro di lei. Questo pensiero le dava coraggio e, giorno dopo giorno, diventò la sua fonte di gioia. Sperò per lungo tempo che nessuno si accorgesse di lei in modo che il sole, con il suo calore e la sua luce, avesse tempo e modo di asciugare i suoi semi per renderli pronti alla semina. L’impegno fu lungo e attento, ma, ancora oggi, nel frutteto ci sono diversi alberi nati da Lucilla.

giovedì 16 giugno 2016

Nonna Honey



giugno 2015 - giugno 2016
Nonna Honey

Copyright © di Flavia Di Cosimo


Dedicato a mia figlia Sofia,
e
a Concetta, mia madre 
che ringrazio per alcuni preziosi spunti!

Prefazione
La vita ci sorprende ogni giorno donandoci nuove opportunità.
Questo racconto è pieno di tenerezza e rispetto, sia verso la frizzante fase della fanciullezza che per quella nostalgica della terza età.
L’incontro e l’unione di due mondi molto distanti tra loro, dimostra che, in maniera naturale e spontanea, il nostro istinto ci spinge ad avvicinarci a ciò di cui abbiamo bisogno.
Tutto questo è l’inconfondibile prova che la diversità di ceti sociali, culture, età e quant’altro sono solamente delle barriere mentali e non possono impedire la ricerca e la nascita dell’unica cosa di cui il nostro spirito si ciba: l’amore.
Riassunto
Il narratore è un’anziana signora che, dopo la morte del marito, vive sola in un grande appartamento. Piena di dignità e orgoglio non intende “disturbare” la sua unica figlia, che va a trovarla di tanto in tanto.
La solitudine la rende malinconica, ma la nonnina non si scoraggia e cerca di cogliere gli aspetti positivi della sua monotona vita.
Incuriosita, osserva ogni giorno quattro bambine che giocano nel cortile nella convinzione di non essere notata.
In modo inaspettato accadrà qualcosa di imprevedibile che metterà l’anziana donna in contatto con le fanciulle. Da quel momento, le due generazioni non si separeranno mai più, pur rispettando sempre i tempi e gli spazi che ognuna di loro deve vivere a modo proprio.
Ognuno si arricchirà dell’amore dell’altro creando così una forte e reciproca sicurezza affettiva.
Capitolo I
Io sono Adriana
Mi chiamo Adriana e sono una signora di settantanove anni.
La mia corporatura è esile perché mangio poco a causa del mio diabete; non sono molto alta ma riesco ancora a tenermi dritta con dignità sulle mie fragili ossa.
Ogni mattina, con pazienza, pettino i miei capelli bianchi e li raccolgo in maniera ordinata dietro la nuca. Poi indosso i miei occhiali e mi guardo allo specchio: vedo la mia pelle raggrinzita, ma sorrido compiaciuta. Sono anziana! Ed è una gran cosa!
Abito al terzo piano di un vecchio palazzo: ci sono le scale e io, a causa della mia gamba dispettosa che ogni tanto si diverte a bloccarmi a letto, non posso scendere nel cortile.
Cerco di essere sempre disponibile con tutti, nei limiti del possibile: amo fare torte e biscotti e, visto che io non posso mangiarli, sono felice di condividerli con i miei vicini di casa. Per me è anche un’occasione per scambiare due chiacchiere con qualcuno, evitando così di trasformare il mio vecchio televisore in un caro amico immaginario.
Mio marito Carlo è morto ormai da due anni; io vivo sola in un grande appartamento.
Ho una figlia di nome Anna che mi viene a trovare ogni lunedì. Devo ammettere che è molto legata a me: mi chiama tutti i giorni per vedere se sto bene e se ho bisogno di qualcosa. Mi piacerebbe risponderle che non ho bisogno di niente e che sto bene; invece, con l’avanzare dell’età e dopo la morte di Carlo, ho imparato a mettere da parte l’orgoglio e ad accettare con serenità la mia età: ho bisogno di aiuto, di sapere che posso contare su di lei. Mi basta sapere che, se ne avessi realmente bisogno, lei sarebbe disposta a soccorrermi all’istante! Mi sento fortunata perché ci sono tante persone della mia età senza parenti e senza nessuno che possa prendersi cura di loro. Non posso di certo lamentarmi!
Anna è una donna molto impegnata con il lavoro e con le faccende domestiche. Non lo dico perché è mia figlia, ma devo ammettere che è davvero una brava donna!
Non voglio essere un peso per lei e cerco di non farle capire che mi sento spesso sola perché so che lei si sentirebbe in colpa e cercherebbe di essere più presente, rinunciando così alla sua vita: per questo motivo, le chiedo di passare (o di comprarmi qualcosa) solo quando non posso più farne a meno.
Comunque non voglio rattristare nessuno con i soliti discorsi da vecchietti! Ci fosse stato qui Carlo avrebbe raccontato tutte le sue avventure riguardanti la guerra! Allora si che vi avrebbe annoiati fino allo sfinimento, costringendovi ad ascoltare per ore ed ore tutte le sue storie!
Penso a lui. Sorrido mentre gli occhi si lucidano. Mi manca terribilmente...
Capitolo II
I miei vicini di casa
So che Carlo mi avrebbe voluta vedere felice, sempre sorridente e io non voglio deluderlo perché sono certa che da lassù mi osserva e mi protegge. Voglio che sia fiero di me!
Negli ultimi anni, per non sentire i morsi della solitudine, ho passato molte ore a guardare dalla finestra della mia cucina, osservando il paesaggio e gli esseri viventi che ne fanno parte: in questo modo mi sembra quasi di stare in compagnia!
Non c’è voluto molto per imparare tutti i nomi delle persone che abitano nel condominio e sono certa che anche loro conoscono me. Forse mi hanno assegnato un nomignolo del tipo “la nonnetta che sta alla finestra”! Di questo non posso esserne certa e sinceramente non sono così curiosa da volerlo sapere.
Io cerco di essere gentile con loro e loro mi ripagano con dei grandi sorrisi mentre ci salutiamo furtivamente sul pianerottolo o agitando la mano dalla finestra!
Mi basta e non posso chiedere di più! Penso questo perché solo con l’avanzare dell’età ho capito l’importanza del “tempo”: è fondamentale riuscire a distribuirlo in modo appropriato nella nostra vita perché è l’unica cosa che non può più tornare indietro! Io penso di aver fatto un buon lavoro con il “mio” tempo e proprio perché ne capisco l’importanza, non voglio che gli altri perdano il loro con me.
La signora Francesca del piano di sopra, ha comprato due appartamenti e li ha uniti. Mi chiedo cosa dovrà farci con tutto quello spazio visto che non hanno figli e non è mai in casa! Ha sempre un gran da fare: lei e suo marito sono fuori tutto il giorno per lavoro, ma ogni volta che rientra la sera, prima di salire su al quarto piano, bussa alla mia porta per farmi un saluto! Sarebbe così carina se non fosse per quei fastidiosi tacchi che tiene ai piedi fino a che non va a letto!
Poi c’è la Signora Tiziana, sul mio stesso pianerottolo: una giovincella di 63 anni! Purtroppo è quasi completamente sorda e preferisce passare le sue giornate a leggere dei libri. Gli inquilini del primo e secondo piano, come la signora Francesca, non ci sono quasi mai. La famiglia Rolando ha due ragazzi adolescenti, ma sono molto educati. A volte sento la musica uscire dalle loro finestre: una cosa terribile! Io penso che se mi mettessi a battere le pentole con il cucchiaio di legno, riuscirei ad ottenere una melodia migliore! Invece il signor Staffi, che vive solo, è un intenditore di buona musica! Ascolta spesso Rossini, Vivaldi, Mozart… Si, ora che ci penso, credo sia proprio un insegnate!
Per fortuna c’è un intero piano che mi separa dalle signore Rosa e Amelia. Sono loro che, al piano terra, fanno dei “ricamini” impressionanti su tutto il vicinato! Sono due chiacchierone indiscrete! Nonostante questo, mi fanno ridere moltissimo perché hanno un buffo modo di gesticolare mentre si dilettano nello spettegolare! Ogni volta che vengono su per prendere i miei dolcetti, mi fanno un sunto di tutto ciò che è accaduto nella palazzina: come fanno a sapere così tante cose questo proprio non lo so!!!
Capitolo III
La mia "infedele" amica!
Oltre al paesaggio e ai golosi vicini di casa, ho qualcun altro che mi fa compagnia! Si tratta di Mia, la gatta della mia vicina di casa! Viene a trovarmi spesso, sopratutto per l’ora di pranzo: io lascio sempre la finestra aperta, anche se non sono affacciata al davanzale, così lei può entrare quando vuole!
Ha un musetto buffo e paffutello; le sue vibrisse sono lunghe e formano una sorta di uncino all’estremità: mai visti baffi così divertenti! Il nasino è rosa e ha una grande macchia nera intorno all’occhio destro a forma di cuore. Le orecchie sono bianche e hanno dei lunghi peli che ne coprono il padiglione, come a volerle proteggere dagli spifferi.
Il resto del corpo è un mosaico di colori arancione, nero e bianco! Il suo pelo è corto e folto, sempre pulito e ben spazzolato. Ma la cosa che adoro di più, sono i suoi polpastrelli rosa: sembrano dei “gommini” colorati, poco affidabili per me, visto che gli permettono di entrare in casa senza che io senta il ben che minimo rumore! Sapeste quante volte mi sono spaventata vedendola passare davanti a me all’improvviso!
Quando cucino, attorciglia la sua coda lunga e tremolante intorno alle mie gambe. Spesso ho rischiato di cadere perché, spostandomi da una parte all’altra della stanza, me la ritrovavo improvvisamente tra i piedi!
Se lo sapesse mia figlia Anna, mi impedirebbe di farla entrare in casa! Ma non posso privarmi di questa gioia, per questo non le dico niente…
Quando mi affaccio alla finestra, la vedo sul balcone della signora Tiziana: spesso dorme acciambellata nella sua cuccia, posizionata sulla lavatrice. Si accorge subito che sono là e, alzando la testolina perfettamente mimetizzata nel manto della sua pelliccia, mi guarda socchiudendo gli occhi. Con pigrizia stira più volte le zampe in avanti tirando fuori gli artigli come per vantarsene. Poi esce dalla cuccia, si siede, si lecca lentamente su un fianco per pettinarsi il pelo in disordine, mi osserva di nuovo con sufficienza e solo a questo punto, elegantemente, si incammina verso di me.
Rimango sempre sbalordita dalla sua agilità: senza esitare salta sul passamano del balcone; cammina con fierezza lungo tutto il tragitto, mettendo le zampe una davanti all’altra, in perfetta fila indiana. Giunta all’angolo del balcone, fa un balzo nel vuoto e raggiunge il mio davanzale! Mi concede un saluto con un timido “mao” che io ricambio con una affettuosa carezza mentre le dico: “Eccoti Mia, finalmente sei venuta a trovarmi!”. Poi si mette qui sulla finestra, accanto a me e insieme osserviamo il cortile per ore.
Ogni sera la mia vicina si affaccia al balcone e grida il suo nome più volte: “Mia, Mia, mich mich mich, Miaaaa, mich mich”. E lei, come fosse incantata da quella voce sgraziata, in un lampo la raggiunge e comincia a farle mille moine strusciandosi sulle sue gambe, miagolando e facendo fusa!
“Ma che ruffiana!”, penso io ogni volta!
In quell’occasione prendo il solito sacchetto che ho preparato per la sua padrona: mi sporgo fuori dal davanzale, verso la signora Tiziana: ci allunghiamo così tanto con le braccia per raggiungerci che a stento riusciamo a scambiarci i doni! A volte è capitato che cadessero giù, sfuggendoci dalle mani! Per carità, se sapesse anche questa cosa la mia Anna, chissà cosa direbbe!
Capitolo IV
Nomignoli
Ora vi voglio raccontare una buffa storia che, negli ultimi tempi, ha spazzato via la mia malinconia!
Sapete come mi hanno ribattezzata quattro vivaci bambine che giocano nel mio cortile? Nonna Honey.
Non so quanti anni ancora il buon Dio mi concederà, quindi ho voglia di condividere le mie emozioni legate a queste quattro fanciulle prima che sia troppo tardi… Sono belle come il sole: Sofia, Ilaria, Aurora e Greta! Forse, se Carlo le avesse conosciute, avrebbe smesso di raccontare le sue tristi storie sulla guerra e avrebbe cominciato a parlare di cose più allegre! Chissà...
Le voglio descrivere una per una le mie monelle! Io in realtà le chiamo “apine” e non “monelle”, proprio perché mi hanno ribattezzata con il nome di “nonna Honey”. All’inizio non capivo cosa volesse dire questa parola, poi ho chiesto a mia figlia Anna che mi ha spiegato: “è una parola in inglese, in italiano vuol dire miele!” e così ho capito...
Mi scuso se mi perdo tra un discorso e l’altro mentre racconto questa storia, ma i pensieri sono tanti e il tempo è poco; si scavalcano l’un l’altro e non mi preoccupo di metterli in ordine! Li lascio scorrere così come vengono, non importa se sono disordinati! In fin dei conti anche la mia mente non è più lucida come una volta...
Ora torniamo a noi!
Comincio con Sofia, la mia pupilla! Lei è la mia preferita anche se voglio un gran bene a tutte loro! Io non credo di aver mai incontrato occhi più belli dei suoi: sono castani, con un taglio orientale; la cosa straordinaria è che brillano di amore! Lei non lo sa ancora perché è una bambina, ma i suoi occhi sono un bene prezioso per chi li osserva. Ha i capelli castani, a caschetto, lisci come fili di seta! Direi che, a occhio e croce, è la più alta tra tutte. A volte è imbranata e distratta: mi fa’ tanto sorridere!
Ilaria è la più timida. Ha la pelle chiara come quella di Biancaneve, gli occhi azzurri e i capelli biondi come il polline. Non è una gran chiacchierona anche perché le altre tre apine le lasciano poco spazio per parlare! Ma è intelligente ed attenta: un’ottima osservatrice.
Greta è un raggio di sole! Esplode dalla gioia e ride come una scimmietta! Quando lo fa’, insieme alla sua bocca spalancata, si muove anche tutto il resto del corpo: riesce a ridere muovendo ogni singolo centimetro di pelle! Anche se non si riesce a capire il motivo della sua risata, inevitabilmente coinvolge tutti! Ha i capelli castani, lunghi e mossi e due occhioni verdi pieni di gioia per la vita.
Aurora è proprio l’apina monella del gruppo! Ha un visino angelico: occhi color ambra, capelli biondi corti, un corpicino esile. Eppure è una peste! Riesce sempre a portare scompiglio nel gruppo: dispettosa e ribelle, trova sempre un modo per far respirare aria frizzante alle sue compagne di gioco.
Le ho conosciute casualmente; le quattro fanciulle giocano spesso qui sotto, nel mio cortile. Prima di conoscerle, le osservavo sempre silenziosamente, dalla mia finestra, finché un giorno, da lontano, gli occhi di Sofia hanno incontrato i miei.
Capitolo V
Biscotti al miele
Non dimenticherò mai quel momento: mi sono sentita quasi imbarazzata! Ero poggiata con i gomiti sul davanzale e avevo la testa fuori dalla finestra. Quando mi accorsi che Sofia, da lontano, mi stava fissando: mi irrigidii e mi misi dritta, ritirando immediatamente la testa all’interno della stanza. Invece lei, con tutta serenità mi sorrise e diede un colpetto all’amica del cuore, Greta. Così anche gli occhi di Greta si fermarono a fissare i miei e, mentre mi chiedevo se stessero veramente guardando me, Greta cominciò a ridere curiosa e vennero qui, sotto la mia finestra!
Greta, come se mi conoscesse da venti anni, mi disse:
- “Salve signora! Noi abbiamo fame! Hai per caso qualcosa da farci mangiare?”
Sofia mi stava scrutando e diede un altro colpetto sul fianco dell’amica, come per rimproverarla:
- “Non farci caso, signora! Fa sempre così! Ha sempre fame!” e poi sorrise, aspettando una mia reazione.
Nel giro di pochi minuti Sofia era riuscita per ben due volte a farmi sentire in imbarazzo! Mi ricordai della mia età e cercai di riappropriarmi del mio ruolo da adulta dicendo:
- “Se avete fame, io posso darvi dei biscotti al miele appena sfornati! Ne volete?”
Greta cominciò ad esultare, saltellando e chiamando a gran voce le amiche che erano rimaste a giocare più in là! Sofia aprì il suo sorriso come a dirmi tra le righe: “Bene, sono contenta...”
Non sapevo esattamente cosa fare: ho pensato che se fossero salite in casa avrebbero perso molto tempo per i loro giochi e così mi venne un’idea!
Le feci aspettare qualche minuto mentre, emozionatissima, preparavo i biscotti: presi un cestino di paglia e misi sul fondo un tovagliolo a quadri bianco e rosso. Posizionai lì dentro i biscotti ancora caldi e, accanto ad essi, aggiunsi un paio di succhi di frutta alla pera. Sistemai meglio le pietanze, cercando di distribuire uniformemente il peso. Legai una piccola cordicella al manico della cesta e mi avvicinai alla finestra. Cominciai a calarlo lentamente, cercando di tenerlo in equilibrio per non far rovesciare il contenuto.
Le bimbe mi davano indicazioni, come se avessero fatto quell’operazione migliaia di volte: “Piano piano, più a destra! Ora vai vai!”. Io mi sentivo eccitata e felice, come fossi una di loro. Quando arrivò sopra le loro teste, lo presero con otto mani e misero subito i visini tondi al suo interno per vedere cosa ci fosse! Mi divertii ad osservarle. C’era un gran vociferare e alternarsi di mani che andavano e venivano: le loro bocche in un attimo si riempirono di biscotti: mi domandai come potessero contemporaneamente parlare e ridere, senza restare soffocate! Ero già follemente innamorata di loro.
Dopo aver finito i biscotti, le bimbe mi ringraziarono e corsero via, in fondo al cortile, per continuare i loro giochi.
Il giorno successivo preparai di nuovo i biscotti al miele, sperando che le bimbe, prese dalla fame o dalla golosità, decidessero di nuovo avvicinarsi alla mia finestra. Accadde esattamente la stessa cosa! E dopo aver divorato i dolcetti, mi salutarono con un “grazie signora Honey”. La cosa si ripeté anche nei giorni successivi. Così presi l’abitudine di fare quotidianamente i biscotti al miele! Nelle settimane seguenti il cestino di paglia fece su e giù per i tre piani ogni giorno. Anche gli inquilini del condominio ammiravano la scena con grande piacere, ma per me e le mie apine, non vi erano altri occhi se non per noi stesse!
Capitolo VI
Un dono inaspettato
Un giorno Sofia, dopo aver mangiato i biscotti al miele, mi disse:
- “Abbiamo una cosa per te, nonna Honey! La mettiamo nel cestino!”.
Posò con accortezza qualcosa all’interno del cestino stando ben attenta a nasconderla con la mano per non rovinare la sorpresa, poi la coprì con una grande foglia di fico. Appena mi fece cenno, mi affrettai a ritirare su la cordicella, incredula e emozionata. Afferrai il cestino e spostai delicatamente la foglia: vidi che all’interno del paniere aveva riposto un mazzolino di fiori di campo dall’odore sgradevole e tre caramelle al latte. Vi erano dei bellissimi fiori di cipolla selvatica e di tarassaco. Le mie apine stavano osservando piene di speranza e curiosità; così, per non deluderle, presi con una mano le caramelle e con l’altra il mazzolino di fiori: lo annusai profondamente, poi, rivolgendomi a loro, dissi:
- “Sono bellissimi e profumatissimi! Grazie!!!”
Le bambine, che erano in trepida attesa del verdetto, esultarono per la felicità e gridarono: “Urrà!”, poi salutarono con le manine rivolte al cielo e si allontanarono mentre, dubbiose, si scambiavano opinioni sui misteriosi fiorellino bianchi!
Da quel giorno il mio paniere scendeva pieno di vivande e risaliva sempre con un dono all’interno: una pietra colorata, una conchiglia, una collanina fatta con la pasta, ecc.
Non ci crederete mai, ma una volta, Greta, ebbe il coraggio di mettere nel paniere una lucertola chiusa in un barattolo di vetro!!! Infatti quel pomeriggio, avevo notato disaccordo tra le bambine e, mentre Greta velocissima riempiva il paniere, le altre gridavano “Noooo, fermati!!!”. Ignara, lo tirai su, mentre le tre apine erano seriamente preoccupate. Non vi dico la mia faccia quando presi tra le mani il cestino! Non riuscii a trattenere un grido: “AAAHHH!” e lo lanciai in aria! Il barattolo cadde a terra e si ruppe! Mia, attentissima, fece un grande balzo e si impossessò del mio dono. Poi fuggì via… Povera lucertola: spero tanto sia riuscita a fuggire dalle sue grinfie. Comunque, nel frattempo, Greta si allontanò ridendo a squarciagola, rincorsa dalle tre amiche che volevano picchiarla! Che avventura!
Invece un giorno, misero all’interno del paniere un disegno bellissimo, firmato Sofia e Ilaria. Presi il foglio tra le mani e cominciai ad osservarlo poggiandolo lentamente sul davanzale. Avevano rappresentato il cortile, ricco di fiori e animaletti vari: avevano disegnato Mia sdraiata su un ramo del fico, come fosse una pantera, le libellule lungo il canale, le rondini nel cielo, lucertole qua e là e tanti fiori colorati. C’erano delle persone che passeggiavano nel cortile e una coppia sulla panchina: lui leggeva un giornale mentre lei mangiava un gelato. Poi c’erano loro, che giocavano a “Girotondo” e io, affacciata alla finestra del terzo piano, che le salutavo con la mano! I colori erano vivaci e ben definiti. Ero immersa nel disegno mentre le bambine osservavano dal cortile la mia espressione e a quel punto Sofia sottolineò: “L’ho colorato io!” e Ilaria aggiunse: “Io l’ho disegnato, invece!”, così mi resi conto che stavano aspettando il mio giudizio!!! Mi affrettai a rispondere: “E’ stupendo!!! Grazie, grazie di cuore!”. Solo in quel momento le bambine sorrisero e si congedarono.
Riponevo gelosamente ogni loro dono nel mio vecchio baule: pian piano stavo componendo il mio prezioso tesoro. Tranne i fiori! Quelli no, soprattutto quelli di cipolla!!!
Capitolo VII
Ospiti inattesi
Amavo stare alla finestra ad osservare i loro giochi e anche i loro battibecchi. Un giorno Aurora si avvicinò incuriosita al margine del canale che si trovava sul lato sinistro del cortile. C’era qualcosa nell’erba: si piegò su se stessa, accovacciandosi, per osservare meglio la sua scoperta. Ad un tratto fece uno scatto con il braccio, allungandolo, e con abilità riuscì a prendere un piccolo ranocchio. Lo teneva per la zampa posteriore, facendolo oscillare leggermente mentre lo studiava da tutte le angolazioni, ruotando con la testa intorno al suo bottino. Ricordo quel momento come fosse ora: il suo viso cambiò espressione in un secondo, come fosse stato illuminato da una brillante idea! Si alzò in piedi e cominciò a correre dietro le altre apine emettendo dei versi sgraziati che volevano, in qualche modo, imitare la voce di un mostro malefico. Le bimbe cominciarono a gridare in preda al terrore, chi da un lato e chi da un altro! Presa dal panico, Ilaria non vide un sasso e inciampò cadendo sul brecciolino. Si ferì le mani che aveva portato in avanti per proteggersi e cominciò a piangere, non tanto per il dolore, ma per il terrore che aveva di essere raggiunta da Aurora! Era in preda al panico e con il pianto liberò parte della rabbia e della paura. Io rimasi per qualche secondo senza fiato, portandomi le mani sulle guance, con gli occhi spalancati e la bocca aperta: osservavo la scena inerme, senza poter far nulla!
In quel momento la mia pupilla sentì la sua compagna di giochi piangere. Nonostante si trovasse nel lato opposto del cortile, corse da lei paralizzando Aurora con lo sguardo. Il ranocchio ormai non spaventava più nessuno. Si chinò verso Ilaria e cercò di consolarla senza sapere esattamente cosa fare. Nel frattempo Aurora fece cadere a terra il ranocchio senza neanche accorgersene. Era rimasta impietrita perché non pensava che un gioco così divertente potesse trasformarsi in una tragedia. Rammaricata rimase ferma lì per qualche istante, a guardare le due compagne di giochi inginocchiate a terra. Ed ecco Greta che da pochi metri più in là, scoppiò in una fragorosa risata: era divertita per la buffa caduta di Ilaria e per la scena del mostro/ranocchio. Si incamminò verso di loro piegandosi su se stessa per il troppo ridere e tenendosi la pancia con le braccia! Barcollava talmente tanto che, a pochi passi da loro, cadde a terra anche lei! “Ahi! Che male!”, disse. E riprese a ridere più forte di prima!
Ilaria si strofinò appena le mani per togliere la polvere e il brecciolino che era rimasto attaccato sui palmi: non poté resistere e scoppiò a ridere anche lei, mentre le lacrime continuavano a scendere per l’ansia accumulata. Poi regalò un sorriso a Sofia, come per tranquillizzarla. Lei si alzò e andò da Aurora per rimproverarla! Borbottò qualcosa che non riuscii a comprendere, Aurora abbassò il capo poi si rivolse a Ilaria chiedendole “scusa”. Sofia si chinò per raccogliere il ranocchio facendo una smorfia disgustata con la bocca. Chiuse un occhio e voltò il viso da un lato, come per dimezzare la sensazione sgradevole che provava nel toccarlo. Lo prese tra le mani senza stringerlo, stando attenta a non farlo scappare, poi andò verso il canale e lo ripose con delicatezza sull’erba.
Tornò dalle compagne e, osservando le mani di Ilaria, disse qualcosa a voce bassa alle sue amiche, come per accordarsi sul da farsi. Contemporaneamente rivolsero tutte lo sguardo verso la mia finestra. Solo in quel momento mi accorsi che le mie mani erano ancora lì, poggiate sulle guance! Le abbassi e chiusi la bocca (che era rimasta spalancata insieme agli occhi) e aspettai la loro decisione. Si avvicinarono e con i nasini rivolti al cielo, mi chiesero in coro: “Nonna Honey, ci puoi aiutare?”.
Ripresi a respirare e, con fare agitato, risposi: “Salite, svelte! Al terzo piano troverete un portone con una traghetta: c’è scritto Berna Adriana. Sono io! Vi apro!” e corsi a premere il pulsante per aprire il portone all’ingresso.
Mentre le aspettavo, sentii un gran fracasso sulle scale. Le bimbe stavano parlando tra loro animatamente e si sorpassavano a grandi passi tra un gradino e un altro. Eccole, finalmente: le mie quattro apice, dai visini rammaricati e tristi, come avessero combinato un grande guaio. Davanti ai miei occhi pieni di amore e emozioni vi erano la mia pupilla, il mio raggio di sole, la mia attenta osservatrice e la mia monella.
Rimasi immobile a fissarle, per cercare di memorizzare ogni singolo dettaglio così da poter mantenere quel ricordo per sempre nel cuore. Loro si alternarono con frasi di circostanza.
Aurora: “Scusa nonna Honey, non volevamo combinare un guaio”
Ilaria: “Uh che bella casa che hai nonna Honey!”
Greta: “Ma ci sono i biscotti al miele?”
Sofia: “Ilaria ha il sangue sulle mani. Ce l’hai un cerotto?”
I miei occhi brillavano per la gioia e si spostavano velocemente ad osservare i loro visi: ero confusa dalla gioia che provavo! Ripresi lucidità in un attimo e le feci sedere in maniera ordinata in cucina. “Aspettate qui buone, torno subito!”. Presi un cerotto nel mobile della sala e del disinfettante. Misi gli occhiali per controllare che non fosse scaduto e mi diressi di nuovo in cucina. Con dolcezza mi avvicinai ad Ilaria chiedendole se si sentiva pronta per disinfettare i palmi delle mani. Le bimbe era raggelate nelle loro sedie, poi timidamente cominciarono ad incoraggiarla: “Ma è quello che non brucia, vero nonna Honey?”
Ilaria si guardava intorno per cercare una via di fuga, poi abbassò lo sguardo per osservare le sue mani: “Si, lo devo fare!” e si alzò coraggiosamente dalla sedia per venire con me verso il lavandino della cucina.
Le presi con dolcezza il dorso delle mani e cominciai a versare il disinfettante sui palmi rivolti verso l’alto. Le amiche in coro: “Ihhh che male!” e tutte strizzarono gli occhi per non vedere la scena. Ilaria coraggiosamente strinse i denti per affrontare meglio il suo dolore. Sorridendo, le dissi che non c’era bisogno del cerotto e che quei puntini di sangue sarebbero presto guariti.
Le asciugai le mani con un canovaccio pulito e mi rivolsi alle altre bimbe dicendo: “Coraggio! Andate a lavare le mani in bagno, che ho dei buonissimi biscotti per voi! La prima porta nel corridoio, a destra!”.
Si alzarono tutte contemporaneamente, facendo un gran fracasso con le sedie. Si diressero in bagno discutendo animatamente sulla tragedia quasi scampata. Io, nel frattempo, presi un asciugamano pulito nell’armadio e le raggiunsi nel bagno. Erano tutte li, a lavare le mani passandosi il sapone l’un l’altra! Alcune giocavano con la schiuma e altre cercavano di regolare l’acqua per non farla scendere né troppo calda né troppo fredda. Misteriosamente il dolore alle mani di Ilaria era svanito perché era lì, con le altre, a insaponare e strofinare le mani come nulla fosse accaduto. Sorrisi e le esortai ad asciugarsi. Passai loro l’asciugamano che riuscirono a condividere amichevolmente.
Andammo tutte in cucina e, mentre loro si sistemavano nelle sedie in un infinito allinearsi e avvicinarsi al tavolo, io cominciai a sistemare i biscotti in un grande piatto. Presi una piccola ciotola di ceramica bianca e ci misi dentro del miele. Aggiunsi qualche goccia di colorante per dolci, rosso e blu: mescolai con un cucchiaino, donando così un inaspettato colore viola al miele. Le bimbe rimasero ammaliate da questa magia culinaria e subito cominciarono a sgambettare perché volevano assaggiare il mio intruglio. Mostrai loro come fare: presi un biscotto e lo picchiettai più volte nel miele filante. Lo tirai in alto e arrotolai sullo stesso il filo di sera che si era formato, poi le esortai: “Coraggio! Fatelo anche voi!”. Per niente scoraggiate, cominciarono a litigare per avere la ciotolina, facendola pericolosamente scivolare da un lato all’altro del tavolo! Ero indecisa se preparare altre tre ciotoline oppure gustarmi la scena così com’era. Erano angeli del Paradiso ed io mi sentivo tanto fortunata!
Capitolo VIII
Il tesoro
Mentre mangiavano con ingordigia, chiesi loro come erano solite passare le giornate. Parlarono poco della scuola e mi dissero che erano in classi diverse ma che le loro mamme erano amiche, che abitavano tutte lì vicino. Le materie che preferivano erano quella motoria e inglese. Si lamentarono tutte per i compiti che le maestre davano da svolgere a casa e nel farlo agitavano una mano su e giù per mostrare noia e disappunto.
Per non farle annoiare cambiai domanda: “E quando siete qui nell’atrio, cosa fate? Qual’è il vostro gioco preferito?”. Si guardarono come a voler concordare una risposta uguale per tutte. Dissero spontaneamente: “Giochiamo al tesoro!” e mi raccontarono una cosa così bella che solo a pensarci mi si riempie il cuore di gioia.
Mi spiegarono le regole del gioco. Si faceva la “conta della gallina sul comò” (ambarabaccicciccò), e l’ultima che restava aveva il compito di preparare e nascondere il tesoro. Questo era formato da ciò che la prescelta raccoglieva nel cortile: fiori di campo, piccole pietre colorate, foglie, ecc.
-           “Però non sono ammessi animali nel gioco!”, disse velocemente Aurora!
-           “Proprio tu parli?!”, risposi io ridacchiando.
Così tutte scoppiammo a ridere, scambiandoci affettuose pacche sulle spalle.
Poi continuarono il racconto. La prescelta sistemava tutto nel miglior modo possibile e lo completava avvolgendolo accuratamente in una grande foglia di fico. Alché pensai tra me e me: “Povero fico! Lo stanno spennando!”. Poi, mentre le altre erano in attesa con la testa poggiata sul grande tronco dell’albero di quercia, la sorteggiata andava in un posto segreto. Faceva una buca con le mani e all’interno metteva il tesoro aggiungendo alcune caramelle gelosamente custodite per l’evenienza. Sopra la buca veniva messo un vetro che loro, prima di tornare a casa, riponevano con cura ogni volta in un luogo inconfessato. Intorno al vetro veniva fatto un mucchietto di terra o di sassi, così da fermarlo e sopra di esso venivano poggiate tre conchiglie: una rosa e due bianche più piccole. Poi si cominciava la caccia al tesoro e le bimbe dovevano trovarlo senza alcuna indicazione! La fortunata che lo trovava, poteva portare a casa il bottino oppure decidere di donarlo!
Mi persi nel racconto, fantasticando nei loro giochi. Per un attimo mi assentai con i pensieri e mi venne in mente una scena già vissuta: un cestino di paglia con dentro tre caramelle al latte e un marzolino di fiori di cipolla fresca e tarassaco. Mi resi conto che mi avevano donato il loro tesoro. Faticai molto per trattenere le lacrime e pensai a Carlo: ebbi una gran voglia di condividere questa cosa con lui. Guardai il soffitto con gli occhi lucidi e sospirai pensando tra me e me “Grazie per questo dono, grazie...”.
Le bimbe mi fissarono silenziosamente, quasi preoccupate. Sorrisi e dissi: “Vi preparo dei sacchetti da portare alle vostre mamme: ci metterò dentro dei biscotti al miele, quelli che vi piacciono tanto! Voi dite loro che li manda nonna Honey, in segno di gratitudine”.
Non chiesero spiegazioni e continuarono a raccontare le loro avventure mentre io preparavo i sacchetti. Ne diedi uno ciascuno e così ci salutammo.
Le sentii scendere le scale di corsa, ma ad un tratto ci furono dei passi scoordinati ed un rumore sospetto: era Sofia che stava per cadere e si era aggrappata alle amiche per non ruzzolare giù! Greta scoppiò a ridere come al solito e anche le altre apine la imitarono! Sorrisi divertita.
Chiusi la porta appena capii che avevano raggiunto il pianerottolo dell’ingresso principale. Mi affacciai alla finestra e le osservai mentre rumorosamente si allontanavano.
Nei giorni successivi il cestino riprese regolarmente a fare su e giù tra l’atrio e il terzo piano. Di tanto in tanto le bimbe salivano su a casa mia per portarmi dei doni o per essere consolate per un brutto accaduto, un litigio. Io le accoglievo con amore senza mai invadere i loro spazi, stando ben attenta a non rubargli tempo prezioso.
Tutti nel condominio, ci osservavano compiaciuti ma noi non ci curavamo degli sguardi dei vicini, ne tantomeno davo spiegazioni ad Anna, che spesso mi chiedeva incuriosita cosa stava accadendo con quelle quattro monelle. Sorridevo, poggiando verticalmente l’indice sul naso e le dicevo: “Scch! E’ un segreto!”.
Anna sorrideva, incredula e felice! Poi mi raccontava come andavano le sue giornate e i suoi problemi, come faceva di solito, rispettando così il mio segreto.
Capitolo IX
Il mio compleanno
Due mesi fà, al mio compleanno, ricevetti un regalo meraviglioso. Quel giorno aspettavo ospiti: mia figlia, la signora Tiziana (la mia vicina di casa) e le signore Rosa e Amelia (le inquiline del piano terra). Ero molto indaffarata a sfornare dolci di ogni tipo ed ero entusiasta perché mi sarei concessa il piacere di assaggiare la mia torta di compleanno! Nella speranza che le mie amate apine mi venissero a trovare, decisi di fare un dolce molto colorato.
Preparai una torta fatta con semplici strati di pan di spagna, farciti al centro con crema chantilly, fragole tagliate a pezzi e gocce di cioccolato. La ricoprii su tutti i lati con la panna e la decorai lungo la circonferenza usando la sac a poche e la crema al burro mescolata con il colorante per dolci: ne feci una parte di colore rosa e una parte di colore verde. Realizzai delle rose facendo delle piccole spirali con la punta 2D, partendo dal centro e ruotando verso l’esterno per tre giri! Poi di tanto in tanto, utilizzando un’altra sacca con la punta n. 70, facevo scivolare la crema al burro di colore verde, disegnando delle belle foglie. Infine, scrissi “tanti auguri Adriana” al centro della torta, utilizzando la crema al burro rosa che mi era avanzata: ne ero entusiasta!
Gli ospiti cominciarono a venire e io li feci accomodare in cucina. Offrii loro i dolci che avevo fatto, tenendo da parte la torta nella speranza che le mie apine venissero a salutarmi. Invece, quel giorno, non le vidi affatto… Man mano che passavano i minuti, mi sentivo sempre più agitata, ansiosa e non riuscivo più a partecipare alle conversazioni con i miei ospiti. Ero distratta e il mio pensiero era sempre rivolto a loro.
Anna, che era seduta accanto a me, mi esortò ad aprire i doni che mi avevano portato le mie amiche. Mi feci forza, sorrisi. Presi per primo quello della signora Tiziana: un bel foulard color ambra. La ringraziai e lo indossai subito. Poi aprii quello delle signore Rosa e Amelia: un libro di ricette, di dolci per l’esattezza! Lo strinsi al petto e le ringraziai dicendo che quanto prima le avrei invitate a gustarne una di queste ricette insieme! Nel frattempo Anna armeggiava con il suo telefono e la cosa mi infastidì parecchio: non era da lei un comportamento così scortese. Alzò lo sguardo e si accorse che la stavo osservando contrariata, così mi disse:
-     “Ah Certo! Ecco mamma! Questo è il mio regalo per te!”.
Mi porse un biglietto; la guardai dubbiosa, poi lo aprii. Era un invito, scritto a caratteri cubitali! Scorrevo velocemente tra le righe “La signora Honey è invitata per il suo compleanno a festeggiare con noi giù nel cortile!”, firmato Sofia, Greta, Ilaria e Aurora. Le mie mani cominciarono a tremare, alzai lo sguardo per incontrare gli occhi di Anna, poi guardai le mie amiche che cominciarono a ridacchiare, complici di non so che cosa! Guardai di nuovo Anna, incredula: “Cosa significa questo?”, ma proprio in quel momento suonò il citofono…
Saltai dalla sedia, tanto ero confusa e tesa. Anna andò ad aprire: “Mamma, ti presento i miei colleghi di lavoro, Alberto e Gianfranco”.
Ero sempre più confusa. Dissero in coro:
-     “Buon compleanno signora Adriana”
Non sapevo cosa fare e di fatto, fecero tutto loro!!! Anna prese la mia giacca nell’armadio e i due uomini mi presero sotto braccio, dirigendosi verso l’uscita. Le mie amiche cominciarono a battere le mani per l’emozione e cominciarono a gridare:
-     “Dai che oggi si esce!!! Non sei contenta Adriana?”
Mia figlia aveva chiamato i suoi amici per aiutarmi a scendere giù nel cortile, dove mi stavano aspettando le mie amate apine!
Cominciai a fremere, ad agitarmi in maniera smisurata! Ci fu una gran confusione in quel momento: tutti presero a scendere le scale per andare nel cortile, compreso gli altri inquilini del palazzo. Io cominciai lentamente, con l’aiuto di Alberto e Gianfranco, a scendere i gradini. Mi sembrò interminabile il tempo trascorso per scendere le scale, poi finalmente raggiunsi il portone del palazzo e uscii nel cortile.
Mi sentivo finalmente partecipe nel mondo, libera, viva mentre le emozioni si scavalcavano senza darmi il tempo di assaporarle!
Anna e gli altri mi condussero dietro al cortile, dove mi era impossibile vedere dalla mia finestra. Fu in quel momento che, portandomi le mani al viso, cominciai a piangere per la gioia e l’emozione!
A pochi metri da me c’erano le mie apine! Quando mi videro cominciarono a saltare per la gioia e a gridare: “Auguri nonna Honey! Auguri!” e corsero ad abbracciarmi. Le accolsi tra le mie braccia e mi chinai per baciarle con affetto: “Birbanti che non siete altro, mi stavo preoccupando… Ecco dove eravate finite!”.
Davanti ai miei occhi c’era il regalo più bello che io avessi mai ricevuto: le mamme delle bambine e tutti i vicini avevano preparato un grande picnic all’aperto! C’erano dolci di ogni tipo e bevande alla frutta di tutti i gusti; ben posizionati al centro delle grandi tovaglie colorate, vi erano piatti, bicchieri e tovaglioli di carta: non mancava proprio niente!
All’improvviso mi ricordai della mia torta e mi resi conto di averla lasciata in casa! Mi voltai velocemente come per poterla prendere con il pensiero e invece mi accorsi che dietro di me c’era la signora Francesca con la mia torta tra le mani, in un formale taglier color tortora, sui suoi soliti vertiginosi tacchi. Aveva uno splendido sorriso, emozionata anche lei: “Auguri signora Adriana! Tanti cari auguri…”. Avevamo entrambi gli occhi lucidi, così le diedi una carezza sul braccio e le risposi: “Grazie tante cara”.
I colleghi di mia figlia mi aiutarono a sedermi nel prato e cominciammo a chiacchierare animatamente, rivivendo insieme le emozioni che avevo vissuto leggendo quell’invito! Le bambine erano entusiaste e correvano intorno a me gioiose. Intanto, Anna ci immortalava facendo foto qua e là, utilizzando il suo famigerato telefono, anch’esso complice della sorpresa. I vicini si divisero in piccoli gruppi che si mescolavano continuamente in modo amichevole e cordiale. Fu la giornata più bella della mia vita: non dimenticherò mai i sorrisi, la gioia, le emozioni di quel pomeriggio!
Poi venne la sera e i giovani uomini mi aiutarono a rialzarmi. La mia gamba mi fece davvero male in quell’occasione, ma strinsi i denti in una smorfia di dolore. Pian piano mi avvicinai al portone dove mi fermai un attimo per salutare e ringraziare tutti. Baciai di nuovo le mie dolci apine e, sospirando, osservai per un’ultima volta il cortile da quell’angolazione che avevo ormai dimenticato nel tempo. Così mi voltai ed esortai Alberto e Gianfranco: “Coraggio ragazzi! Si sale!” e mi diressi verso le scale.
Capitolo X
Le ragazze crescono
Dal giorno del mio compleanno sono accadute molte cose: le bambine ormai stano crescendo e cominciano a parlare di ragazzi con un interesse diverso dal solito. Le vedo sedute spesso sulla panchina a chiacchierare con discrezione. Ogni tanto capita di sentire delle fragorose risate e penso: “Chissà cosa si stanno dicendo!”
Sono più attente al loro aspetto fisico e si aggiustano i capelli in maniera ordinata facendo delle lunghe trecce o mettendo dei cerchietti glitterati sulla testa. Non mancano bracciali e collanine, che ora sostituiscono il loro tesoro! Forse è l’unico gioco al quale si dedicano ancora con costanza. Ora nel cesto mettono bijoux fatti a mano con perline colorate e nastrini di seta. Sono delle signorine ormai!
Quando mi vengono a trovare qui in casa, mi raccontano cose segrete… Si parla di dinamiche particolari: delle amicizie, della scuola e dei ragazzi che scuotono la loro curiosità. In quell’occasione ci tengo a dir loro di stare attente, di dare molta importanza al loro corpo e spiego che è prezioso e devono averne cura. Loro sottovalutano le mie parole e ridacchiano divertite! Poi mi confortano dicendo:
- “Tranquilla nonna, non è nelle nostre intenzioni!”
Così tiro un sospiro di sollievo e continuo ad ascoltarle. Sono felice per loro perché, nonostante le disavventure della loro giovane vita, sono serene e molto complici. Questa forte amicizia sarà la loro più grande fortuna nella vita, ma ancora non lo sanno...
Ultimamente non mi sento molto bene, spesso sono costretta a stare a letto per i dolori che ho alla gamba. Anche la bronchite, che mi porto dietro da due settimane, pare non voglia darmi tregua. Anna è più vicina a me in questi giorni, la vedo quasi preoccupata… Io le ripeto sempre che non deve perdere il suo tempo qui con me e la rassicuro dicendole che prendo regolarmente tutte le medicine, che presto mi sentirò meglio!
Nonostante questo, anche se non riesco più come un tempo, i miei biscotti al miele non mancano mai, soprattutto per le mie apine!!! Certo ora ne sforno davvero pochi, ma anche loro mangiano meno perché dicono che devo seguire la “dieta”!!! Ma quale dieta e dieta… Sono così belle!!!!
Si è fatto tardi, il mio tè ormai si è freddato… Vado a mettermi a letto con la speranza di potermi alzare senza dolori domattina. Buonanotte…
Capitolo XI
Sono Anna
Ho impiegato diversi giorni prima di prendere questa decisione: sono Anna e sto finendo io la storia di mia madre. Questo pensiero mi uccide, mi trafigge il petto, come una spada ardente. Le lacrime mi scendono e di tanto in tanto sono costretta a fermarmi per recuperare la vista… Il nodo alla gola comincia ad essere doloroso e non so proprio come dirlo… La vostra “nonna Honey” ora è tra gli angeli del Paradiso.
E’ morta il mese scorso, durante il sonno. Se la cosa può consolarvi, vi posso garantire che non ha sofferto perché ha avuto un infarto fulminante.
Siamo tutti molto scossi… Le bambine vengono spesso a casa della loro amata nonnina, ma non ci sono più biscotti al miele per nessuno… Abbiamo trovato il baule con il “tesoro” e il suo amato diario…
Non so cosa dire, non so cosa scrivere… Mi sento vuota, sola e mi rendo conto solo ora di quanto mi amasse… Vorrei poter tornare indietro, essere più presente nella sua vita, poter gioire con lei delle sue amate “apine”…
Le bambine, sono confuse… Sembrano disorientate come se avessero perso la loro “regina”… Piangono spesso e si abbracciano singhiozzando…
Ha lasciato un enorme vuoto, ma anche un’enorme ricchezza… Noi tutti preghiamo per lei: che gli angeli la conducano presto in Paradiso. Amen